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Draghi riunisce il Cdm (con alleati e congiurati). Lite Giorgetti-Speranza

L'ex Bce saluta i ministri uno a uno. Clima teso, il silenzio di Franceschini e Patuanelli

Draghi riunisce il Cdm (con alleati e congiurati). Lite Giorgetti-Speranza

L'ultimo atto della lunga disfida del Quirinale va in scena a Palazzo Chigi. Quando, al tavolo circolare del Consiglio dei ministri, Mario Draghi si ritrova seduto insieme ai rappresentanti di quei partiti che gli hanno impedito di realizzare le sue aspirazioni quirinalizie. Alcuni di loro, in verità, hanno fatto di tutto per provare a vincere le resistenze dei rispettivi leader. Altri, invece, sono tra i principali congiurati del «draghicidio». L'ex numero uno della Bce ne è ben cosciente. Conosce l'entusiasmo di chi lo avrebbe sinceramente voluto al Colle, l'ostilità di quanti si sono spesi per azzoppare la sua corsa e perfino le sfumature di chi, magari restando un passo indietro, è in cuor suo contento di come alla fine è andata a finire. Ci sta, quindi, che a Palazzo Chigi si respiri un clima un a tratti surreale, in alcuni momenti d'imbarazzo perfino tra gli stessi ministri. Un po' come a quei matrimoni dove si deve andare per forza e poi si finisce per restare intrappolati a tavola per delle ore con parenti che non si vedono da una vita. E ci si rifugia in qualche sguardo basso o nello sbirciare di tanto in tanto il telefono.

Il Consiglio dei ministri, in verità, fila via in poco più di mezzora. Aperto da un Draghi che conserva il suo consueto aplomb formale e istituzionale. E che, per giunta, non lesina sorrisi. Il premier entra quando i ministri sono già tutti seduti e decide di salutarli uno per uno, accostandosi dietro alla sedia di ognuno. Amici e nemici, nessuno escluso. Da Giancarlo Giorgetti a Dario Franceschini. Poi, appena si siede, chiama l'applauso per Sergio Mattarella. «Voglio prima di tutto ringraziarlo per la decisione di rimanere per un secondo mandato. Le priorità che ha espresso - la lotta alla pandemia e la ripresa della vita economica del Paese - sono le stesse del governo», dice l'ex numero uno della Bce. Parole seguite da un lungo applauso da parte di tutti i presenti, per certi versi liberatorio perché interrompe, almeno per un momento, una tensione che resta latente. Insomma, non proprio quel «buon clima» che aveva immaginato il ministro D'Incà, intercettato dai giornalisti mentre entrava a Palazzo Chigi.

La riunione, dunque, va via veloce. Anche perché l'occasione non è adatta a prendere in mano i dossier. Il primo Consiglio dei ministri post Quirinale, infatti, è più che altro il momento per riporre le armi e cercare di mettere da parte le incomprensioni di questi mesi. Qualcuno nota una certa irrequietezza di Giorgetti, che interloquisce con Speranza piuttosto nervosamente. Il titolare della Salute argomenta la proroga delle misure anti-Covid, il leghista sbotta: «E bastaaaa! Come spieghiamo alle categorie?». Il ministro dello Sviluppo torna poi alla carica su un suo vecchio cavallo di battaglia e ribadisce la necessità di introdurre «una qualche forma di indennizzo o risarcimento per i fragili che hanno riportato danni a causa di effetti avversi del vaccino». Non è una battaglia che Giorgetti fa in nome e per conto di Salvini, con il quale - peraltro - i rapporti sono al minimo storico. È una «mia personale sensibilità», ci tiene a dire il ministro leghista, che è venuto a conoscenza di alcuni casi e ne è rimasto colpito. Tocca poi a Brunetta intervenire, sottolineando l'importanza dell'anagrafe digitale dei dipendenti pubblici. Un tema molto caro al ministro della Pa, anche se il premier lo stoppa con un gesto della mano: «Renato, di questo se ne parla mercoledì».

Già, perché domani si replica - Draghi è intenzionato a tenere due Cdm a settimana - e sarà quella l'occasione per fare una «ricognizione» generale sugli obiettivi del Pnrr del primo semestre 2022». L'erogazione della seconda rata in scadenza al 30 giugno, spiega infatti l'ex numero uno della Bce, «presuppone il conseguimento di 45 traguardi e obiettivi per un contributo finanziario e di prestiti pari a 24,1 miliardi di euro». Chissà se anche in quell'occasione Franceschini e Stefano Patuanelli sceglieranno di restare completamente silenti come ieri. Il ministro dem e quello del M5s - due che hanno fatto il possibile affinché Draghi non andasse al Colle - non hanno infatti pronunciato una parola una.

Circostanza che tra i presenti non è passata inosservata.

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