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Cruciani fa a pezzi il politically correct

Lo spettacolo teatrale del conduttore radiofonico: sarcasmo su Greta, "ecoansia" e femminismo

Cruciani fa a pezzi il politically correct

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Scortica il politically correct e non si tiene davanti a niente e nessuno. Ce l'ha con Greta e con i ragazzini malati di ecoansia. «Non ce la posso fare», sibila mentre mostra le immagini di una giovane che si accartoccia su se stessa, lacrime su lacrime, mentre microfono in mano chiede al ministro dell'ambiente Gilberto Pichetto Fratin speranze per sperare in un futuro che lei non vede e che per lei e tanti come lei non ci sarà.

«Non ce la posso fare», ironizza Giuseppe Cruciani e il pubblico che riempie fino all'ultimo posto il teatro Tirinnanzi di Legnano si spella le mani. E ride con lui e lo segue sul filo di un'ironia graffiante e corrosiva. E poi avanti ancora, sempre di corsa, paradosso dopo paradosso, in un susseguirsi di invettive e requisitorie accompagnate da foto, articoli di giornale, brevi interviste a presunti soloni del pensiero dominante.

Lui, Cruciani, ne ha per tutti e fa a pezzi le parole chiave della nostra società: la sostenibilità, un prezzemolo insopportabile, un luogo comune, una banalità o peggio una patacca, una di quelle spacciate tutti i giorni dagli apostoli di un progressismo stucchevole che lui innaffia con le gocce abbondanti del suo linguaggio trash, a tratti portuale, che è diventato un format di successo dai microfoni della Zanzara su Radio 24.

«Sei un Vannacci che ce l'ha fatta», gli ringhia la voce registrata di David Parenzo, la spalla di quel programma di culto che invece segue il canone dominante. Ma Cruciani va avanti imperterrito, come fosse al circo, un numero dopo l'altro, un'esibizione dopo l'altra, una sparata dopo l'altra.

Mette nel mirino del suo sarcasmo le femministe e la loro battaglia semantica che arriva alla «follia», - follia è il vocabolo più usato nello spettacolo - del femminile sovraesteso. «Il rettore, hanno stabilito all'università di Trento, si chiamerà sempre rettrice, anche se sarà uomo. E pensare che l'università dovrebbe essere il tempio del sapere», e allora eccolo camminare freneticamente sul palco, come un leone in gabbia, e partire a raffica con un nuovo affondo.

C'è un diritto a provare schifo, un diritto a non essere compassionevoli, un diritto a fregarsene delle tribù del Congo. Un diritto a dichiararsi innocenti davanti all'ennesima vittima di femminicidio, senza attribuirsi, come oggi va per la maggiore, le colpe degli uomini, le colpe del colonialismo, le colpe dell'Occidente. Le colpe.

Se un uomo ha ucciso la sua compagna, la colpa è solo la sua. Cruciani è un rullo compressore, ogni tanto finge di appendersi alla croce che riempie lo spazio della sua performance, in realtà è lui che pianta i chiodi nelle contraddizioni di chi oggi detta lo spartito.

Di nuovo, ricomincia contro i gay e contro i bagni neutral gender e a favore degli studenti della Bocconi che hanno osato rompere quel clima di mistica compostezza e sono stati puniti.

A volte il giornalista e conduttore radiofonico si fa prendere la mano, come quando attacca pure, già che c'è, lo Spirito Santo e nell'ultimo quadro, dove sfida in modo frontale l'etica contemporanea, di più la nostra civiltà, prendendo le difese della prostituzione e del diritto delle prostitute a prostituirsi.

Sono gli spezzoni meno convincenti di un happening coraggioso, a tratti temerario, ma carico di energia, trovate e battute scoppiettanti. Cruciani nell'arena. Cruciani contro. Soprattutto contro l'abuso di parole, vedi il patriarcato, che per lui sono solo la foglia di fico di una società nuda, peggio, vuota.

Capace solo di anticipare con la vasectomia la fine del mondo che per fortuna non ci sarà e di disporsi su tre file per andare alla toilette.

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