Coronavirus

Quel clamoroso errore sul Covid: tasso di letalità sovrastimato di dieci volte

A marzo gli esperti americani del Niaid hanno sopravvalutato di dieci volte il tasso di mortalità da Covid. Il loro studio ha influenzato i governi di tutto il mondo

Quel clamoroso errore sul Covid: tasso di letalità sovrastimato di dieci volte

È bastato uno studio scientifico inesatto, contente cioè un errore tanto banale quanto grave, per sovrastimare di ben dieci volte il tasso di mortalità da Covid-19 e gettare il mondo intero nel panico.

Ad agosto uno studio realizzato dal professor Ronald Brown, della School of Public Health and Health Systems della University of Waterloo, in Canada, poi apparso nel Public Health Emergency Collection dell'University of Cambridge, ha dimostrato come la relazione trasmessa ai primi di marzo al Congresso Usa da parte del Niaid (National Institute of Allergy and Infectious Diseases) contenesse una svista da matita blu.

Quando in primavera, nel bel mezzo della prima ondata di coronavirus, l'Istituto nazionale americano per le allergie e le malattie infettive inviò il suddetto documento ai politici americani, questi ultimi presero alla lettera il contenuto di quel paper. D'altronde, perché non farlo visto che il Niaid è una delle istituzioni più prestigiose e importanti del Paese?

Ebbene, quella relazione, inerente al Sars-CoV-2 e, più in particolare, alla pericolosità del virus, conteneva un errore clamoroso. Come ha sottolineato Italia Oggi, gli esperti americani del Niaid avevano sopravvalutato di dieci volte il tasso stimato di mortalità da Covid tra la popolazione nazionale.

Quei numeri e quei risultati spaventarono non soltanto gli stessi Stati Uniti ma anche i governi di tutto il mondo. Che, temendo il peggio, iniziarono a escogitare modelli per frenare la diffusione del virus, tra lockdown più o meno estesi e imposizione di misure restrittive.

L'errore degli esperti

Sia chiaro, il coronavirus resta un nemico pericoloso e da affrontare con il massimo impegno. Però resta il fatto che i dati inizialmente maneggiati dal Congresso Usa fossero falsati da un pasticcio del Niaid. Gli esperti in questione hanno confuso due categorie di dati tra loro distinti ma con il nome molto simile: Case Fatality Rate e Infection Fatality Rate.

Ricordiamo che il Case Fatality Rate misura la mortalità tra tutti i casi diagnosticati e confermati, mentre l'Infection Fatality Rate indica la mortalità tra tutti i contagiati, asintomatici e non diagnosticati compresi.

La confusione nei numeri è derivata dall'aver applicato il livello di letalità tra i sicuramente malati all'incidenza sulla popolazione estesa dei contagiati ma "apparentemente sani". La conclusione era particolarmente allarmante visto che, a quelle condizioni, il Covid avrebbe ucciso un numero di persone dieci volte superiore rispetto a quelle che uccide una normale stagione influenzale.

Al di là dell'imbarazzante errore citato, restano diversi interrogativi ai quali, ancora oggi, è impossibile dare una risposta certa. Ad esempio: quando il numero di decessi all'interno di una popolazione risulta inferiore alle proiezioni, come possiamo dimostrare che il risultato conseguito deriva soltanto alle precauzioni imposte dai governi (ovvero mascherine obbligatorie, quarantene e distanziamenti vari)? C'è infatti la possibilità di essere semplicemente partiti da una base di calcolo iniziale troppo alta.

Certo, non dobbiamo poi dimenticarci dei pesanti effetti economici delle misure restrittive adottate dai governi. In questi ultimi giorni i contagi sono tornati a salire. E molti Paesi stanno meditando il da farsi. Eppure quanto accaduto negli Stati Uniti potrebbe (e dovrebbe) valere come monito: occhio ai dati.

E ai possibili errori.

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