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"Telefono-fobia" per i giovani: perché rispondono sempre meno

Quasi il 70% della fascia d'età tra 18 e 34 anni non risponde più alle telefonate sfociando in una forma di fobia. L'influencer: "Questione di cultura generazionale"

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Si tratta senza dubbio di un paradosso ma c'è una spiegazione ben definita: la maggior parte dei giovani iper connessi quotidianamente e con i telefonini sempre tra le mani rispondono poco e malvolentieri alle telefonate. Quando si tratta di cliccare su "rispondi" e iniziare una conversazione ormai sempre più "old style" preferiscono ignorarla e replicare con un messaggio scritto su WhatsApp o Telegram e magari con una nota vocale. Tutto, insomma, purchè non si parli a voce con lo smartphone.

Le cause

I numeri di questo fenomeno sono in crescita esponenziale: una percentuale vicina al 70% secondo un sondaggio del Times dimostra che la fascia d'età compresa tra 18 e 34 anni odia le telefonate andando addirittura in ansia. Se invece saliamo con la fascia d'età (dai 35 ai 54 anni) soltanto l'1% sceglie di non rispondere e inviare una nota audio, ad esempio. Si tratta di una prerogativa della generazione Z che è diventata una vera e propria patologia come spiega al Corriere il prof. Massimo Ammaniti, psicoanalista e docente onorario di Psicopatologia dello sviluppo della Facoltà di Medicina e Psicologia della Sapienza, Roma.

"Si tratta di una fobia"

"La fobia del contatto porta il ragazzo a chiudersi in camera, a non voler più uscire, a delimitare e circoscrivere i rapporti con gli altri", spiega l'esperto. In Giappone il fenomeno è chiamato "muon sedai" e riguarda il decennio di chi ha tra 20 e 30 anni ignorando le chiamate ma rispondendo, anche pochi secondi dopo, con messaggi e chat. Ammaniti spiega che la soluzione inizia dal dialogo ritenuto fondamentale e che "deve partire dai genitori, devono dare il buon esempio". Nonostante le libertà odierne, i ragazzi "vivono un malessere di fondo. Avere troppe opportunità non li aiuta, anzi, perché pone loro troppi interrogativi".

L'abitudine a chattare

Di certo la pandemia non ha aiutato: molto spesso gli stessi giovani utilizzano gli smartphone per condividere qualsiasi tipo di contenuto ma in maniera "silenziosa", non verbale. Ecco perché c'è stato il boom di chat e audio, per esempio, "tutte forme indirette di comunicazione che evitano il dialogo e che l'esperienza della pandemia da Covid ha favorito", spiega lo psicanalista. "ll problema è quello del contatto, anche se soltanto telefonico, perché devono adeguarsi all'altro e saper usare le regole del dialogo".

A difendere la sua generazione ci ha pensato Eleonora Locci, influencer di 23 anni molto seguita su Instagram e Tik Tok che al quotidiano ha candidamente ammesso che a forza di crescere con i social "è normale che lo smartphone lo usiamo per postare video e chat e non per parlare" . A differenza dei suoi coetanei, però, lei ama stare al telefono "perché ho sempre avuto amici e parenti lontani, tra Brasile, Francia ed Emirati Arabi, e ho bisogno di sentire la loro voce.

Molti dei miei amici invece, piuttosto che rispondere, preferiscono mandare messaggi ma è una questione di abitudine e di cultura generazionale".

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