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C’è Hollywood sul lago di Como

Caro direttore,

«Andremo a Tremezzo e sarà divino». Non ti preoccupare, non è un invito galante, ma una citazione vecchia come il cucco. Grand Hotel, Greta Garbo, primo spot per il lago di Como, che neppure s’immaginava di diventare Lariowood. E forse neppure aveva voglia d’essere un lago. All’epoca della Divina, anni Trenta, gli abitanti sulle sponde si dividevano in contadini dediti ad uliveti aggrappati alla roccia, emaciati pescatori di pesciolini lasciati ad essiccare sulla pietra, operai alle ferriere Falck, turni massacranti e metallo pesante.
Il lago era umidità e fame. Allora i ricchi compravano casa in collina per non perdersi la vista ed evitare le cantine allagate. In riva, a farsi lambire i piedi dall’acqua, ci andavano i poveri. Lariowood è la loro rivincita, l’effetto Clooney (con quel che ne consegue sul valore del mattone) il loro trionfo. Ancora oggi, questi comaschi increduli che abitano i paesini incastonati sulle sponde, vivono vite parallele, lampi di cinema.
Esempio. Bellagio, anni Settanta, esterno giorno. Tre soldati in mimetica s'arrampicano lungo la vecchia scalinata, altri tre scrutano il lago coi binocoli. È l'alba, brutto risveglio per i paesani. Cos’è successo? «È scappato Curcio». Terrore, angoscia. Poi compare Enrico Montesano e urla: «Ahò, dateme er ciakke!». Neorealismo buttato alle ortiche. Il film s'intitolava Io tigro, tu tigri, egli tigra, trash a episodi, vi si raccontava di una pattuglia di bersaglieri che per stupidità invadeva la Svizzera.
Tutto di basso profilo, tranne lo scenario: il lago di Como. Un luogo dolce e nascosto, costosissimo e snob, c’è passato pure James Bond con l’ultimo Casino Royale. Questo non è un luogo del cinema, ma la sua soffitta. Nella storia di Bellagio e Menaggio, di Tremezzo e Lierna, di Dongo e Cernobbio c'è un film, un'inquadratura immortale, una diva appoggiata al pontile del battello. Via alla rinfusa: Mario Soldati che fa montare un motore di aereo sulla darsena della villa del Fai a punta Balbianello per costringere il lago a incresparsi (Piccolo mondo antico); Alfred Hitchcock che per anni, in giugno, si presenta a cena all'Isola Comacina. Arrivava da Villa d'Este col motoscafo e amava in modo maniacale i temporali sul lago. Si metteva al tavolo vicino alla finestra e contava i fulmini. Aveva sempre con sé una Polaroid, e di nascosto fotografava tutto. Il regista aveva conosciuto il lago nel 1925, quando girò a Villa d'Este alcuni esterni del suo primo film Pleasure garden. Di quegli scatti di molti anni fa resta un'istantanea autografata: attraverso una porta socchiusa sulla cucina, Hitchcock riprese il cuoco mentre con un coltellaccio disossava un prosciutto.
Fra un pesce in carpione e una polenta uncia (burro, formaggio, bomba calorica) qui accade qualcosa di magico: lo scenario diventa attore. Malinconia, mezzetinte, colori pastello che oggi riecheggiano nei romanzi di Andrea Vitali. Sergio Leone gira a Bellagio l'esterno che accompagna Bob De Niro ed Elisabeth McGovern all'ultima notte d'amore in C'era una volta in America; Franco Giraldi sceglie Menaggio per raccontare il disfacimento della coppia in Cuori solitari con Ugo Tognazzi e Senta Berger. «Tornare spesso qui è come prendere una goccia di veleno; ti viene voglia di non andartene mai» (Stendhal). Vittorio Mezzogiorno l'ha fatto davvero: è rimasto sul lago di Como per quasi un anno durante la lavorazione della Piovra. Poi, aggredito dal male, ha deciso di continuare a guardare i sassi sul fondo, sepolto nel piccolo cimitero di Griante, a poche centinaia di metri dalla villa di Konrad Adenauer.
Nella soffitta del cinema abbandonata sul lago c'è di tutto. Max Ophuls (La signora di tutti), Mario Mattoli (Tempo massimo), Réné Clement (L'amante di una notte), Dino Risi (Una vita difficile), Vittorio De Sica (Ieri, oggi e domani), Ettore Scola (La più bella sera della mia vita), molto Celentano, un po' di nouvelle vague italiana (Giacomo Campiotti con Come due coccodrilli), il Tinto Brass di Paprika. E soprattutto Visconti. Villa Erba a Cernobbio era per lui la poesia delle vacanze. Da ragazzo si divertiva a imitare, cosparso di talco e farina, le statue neoclassiche che ornavano la balaustra della darsena, per poi tuffarsi nel lago davanti ai turisti, loro sì pietrificati dallo stupore, che passavano in battello davanti alla villa.
Qui, fra Tremezzo e Dongo, si rompono gli orologi e il tempo non ha senso. Ciò che scoprirono un giorno del 1994 i pochi e fortunati abitanti di Rezzonico, il paesino più vetusto e più raro, trenta case aggrappate a uno scoglio attorno a un castello medievale. Uscendo di casa e vedendo appesi ai muri manifesti inneggianti al duce, la gente del posto informò allarmata il Comune: «Sono tornati i fascisti». Era Irvin, regista americano, che stava girando Un mese al lago con Alida Valli, Vanessa Redgrave, Uma Thurman e Alessandro Gassman.
Qui le camicie nere evocano reali emozioni. A Mezzegra sino a qualche anno fa c'era la scritta: frazione Giulino, fatto storico del 1945. Era stato soltanto ucciso Mussolini. Per anni, a Griante, Winston Churchill fingeva di dipingere paesaggi da quattro soldi cercando in realtà le lettere del duce. Per anni, da Cernobbio, Hitchcock l'ha spiato con una voglia matta di farci un film. L’avrebbe fatto Carlo Lizzani: Mussolini ultimo atto, Rod Steiger e Lisa Gastoni come due irrequieti fantasmi della storia.
Oggi i divi sono altri, ma il lago è sempre lo stesso. Geloso e snob. Ultimo amante: Antonio Banderas. Era a Cernobbio per girare The Other Man, ha fatto riaprire l’unica strada del centro, chiusa da settimane ai comuni mortali. Dolci polemiche, poi il perdono.

Lui Zorro, tutti gli altri sergenti Garcia.
*Giorgio Gandola
direttore de La Provincia

di Como, Lecco, Sondrio e Varese

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