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Mattarella tiene unito il Paese. Quella sintonia con la premier

Il capo dello Stato apprezza le parole della Meloni: "L’unità nazionale è doverosa". La difesa della linea atlantista: "Armi necessarie per contrastare regimi totalitari"

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Quando legge il tweet di Giorgia, «la fine del fascismo pose le basi per la democrazia», Sergio Mattarella sta per salire sul palco di Civitella Val di Chiana, in mezzo all’Appennino toscano, luogo simbolo della Resistenza, dove nel ‘44 i nazisti ammazzarono 250 persone. Nessun commento ufficiale, niente risposte, però dal Quirinale filtra apprezzamento per la posizione della premier che, nero su bianco, sembra confermare la tesi del presidente: «Attorno all’antifascismo un’unità popolare è possibile». Anzi, è «doverosa», dice, e si può realizzare con serenità, «senza compromettere la varietà e la ricchezza della comunità nazionale, il pluralismo sociale e politico, la libera e mutevole articolazione delle maggioranze e delle minoranze nel gioco democratico». Parole di Aldo Moro che il capo dello Stato, alla perenne ricerca di un minimo comun denominatore, fa sue. Dividetevi pure, scontratevi su tutto, questo è il senso, ma non sui valori fondamentali su cui si regge la Repubblica.
Insomma serve unità ma anche verità. Non c’è spazio per letture minimaliste o revisioniste, spiega Mattarella, il fascismo «era un regime disumano» e «l’orrore ingiustificabile di ottant’anni fa commesso dai nazisti rimarrà sempre impresso». Occorre perciò ricordare perché «senza memoria non c’è futuro». E vale anche per oggi, per i conflitti alle porte di casa. «I patrioti della Resistenza fecero uso delle armi perché un giorno esse tacessero e il mondo fosse finalmente contrassegnato da pace, libertà e giustizia». Invece stiamo vivendo «un tempo di grande preoccupazione, segnato in Europa e ai suoi confini da aggressioni, guerre e violenze».
Sparare alle volte è una scelta obbligata per difendere una democrazia, e qui si nota un’altra assonanza con il messaggio della Meloni, che riafferma le scelte atlantiste di politica estera: «Siamo determinati a contrastare con impegno i regimi totalitari che opprimono i popoli».
Mattarella ricorda «la dittatura spietata», la «lunga scia di sangue che ha accompagnato l’Italia alla Liberazione», i martiri «che hanno pagato con la vita una guerra ingiusta e sciagurata a fianco di Hitler», quanti si ribellavano «all’ordine fondato sul dominio della razza e la sopraffazione in un Paese totalmente sottomesso alla Germania nazista». E «gli eccidi pianificati a freddo», come quello di Civitella Val di Chiana, dove «si attese il 29 giugno, festa dei santi Pietro e Paolo, per essere sicuri effettuare un più numeroso rastrellamento di popolazione civile». Un «gravissimo crimine di guerra», nel tentativo di «fare terra bruciata attorno ai partigiani».
E cita a braccio Giacomo Matteotti. «Il fascismo aveva in realtà da tempo scoperto il suo volto, svelando i suoi tratti disumani e brutali, come ci rammenta il prossimo centenario del suo assassinio».
Poi, dopo l’8 settembre, «i vertici del regno in fuga», il caos, «il disonore», nasceva la Resistenza. Monarchici e repubblicani, contadini e intellettuali, uomini, donne, ragazzi, preti, «i 600 mila militari che rifiutano di servire la Repubblica di Salò». Un fenomeno di popolo, «un movimento che nella sua pluralità di persone, motivazioni, ideali e provenienze, voleva instaurare una nuova convivenza, fondata sul diritto e sulla pace». Ci siamo riusciti, dice il capo dello Stato, grazie agli Alleati, «ai 350 mila soldati venuti da Paesi lontani e morti per liberare l’Italia».


Per tutti questi motivi, conclude il presidente, «il 25 aprile è una ricorrenza fondante» perché è proprio quella lotta partigiana, che ci ha sollevato «non solo dell’occupazione nazista ma da una dittatura spietata durata un ventennio», ha «prodotto la Costituzione in cui tutti possono riconoscersi e che rappresenta garanzia di democrazia e giustizia».

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